Giovanni Paolo II
...dalla Polonia uscirà la scintilla che preparerà il mondo all' ultima venuta del Cristo...
Colui che non aveva conosciuto
peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo
diventare per mezzo di lui giustizia di Dio.
Le ultime
Parole di Giovanni Paolo II,
circa il Mistero della Divina Misericordia, mi hanno spinto a comporre questa ricerca che voglio portare alla vostra conoscenza; un omaggio al grande amico dell’uomo e della natura, vero messaggero di Pace e di Fratellanza universale.
Uomo dal cuore aperto e sempre disponibile a quell’abbraccio umano e allo stesso tempo misericordioso, continuamente testimoniato nella sua vita e nelle sue opere.
Da queste basi gettate dal Santo Padre possono nascere miriadi di Stelle Lucenti.
I raggi di Luce rappresentati nell’icona del Cristo Misericordioso, sono raggi di Verità che solcano il tempo e aprono quel sipario che è raffigurato nel dipinto della Madonna Sistina di Raffaello. Se riusciamo ad unire meditativamente questi due dipinti con la Luce che sgorga dal cuore, allora il Mistero della Divina Misericordia apparirà davanti a noi svelato in tutto il suo splendore.
Quando apriamo il cuore all’Amore Divino, noi rendiamo vivo e operante questo Mistero.
Risveglia il Mistero dal lungo letargo e agisci quotidianamente per renderlo Vivo, poiché tutto è realmente Vero.
Veramente straordinaria è questa Notte, nella quale la luce sfolgorante di Cristo risorto vince in modo definitivo la potenza delle tenebre del male e della morte, e riaccende nei cuori dei credenti la speranza e la gioia. Carissimi, guidati dalla liturgia, preghiamo il Signore Gesù perché il mondo veda e riconosca che, grazie alla sua passione, morte e risurrezione, ciò che era distrutto si ricostruisce, ciò che era invecchiato si rinnova e tutto ritorna, più bello di prima, alla sua originaria integrità.
«Rimani con noi, Signore, perché si fa sera» (cfr Lc 24,29). Fu questo l'invito accorato che i due discepoli, incamminati verso Emmaus la sera stessa del giorno della risurrezione, rivolsero al Viandante che si era ad essi unito lungo il cammino. Carichi di tristi pensieri, non immaginavano che quello sconosciuto fosse proprio il loro Maestro, ormai risorto. Sperimentavano tuttavia un intimo «ardore» (cfr ivi, 32), mentre Egli parlava con loro «spiegando» le Scritture. La luce della Parola scioglieva la durezza del loro cuore e «apriva loro gli occhi» (cfr ivi, 31). Tra le ombre del giorno in declino e l'oscurità che incombeva nell'animo, quel Viandante era un raggio di luce che risvegliava la speranza ed apriva i loro animi al desiderio della luce piena. «Rimani con noi», supplicarono. Ed egli accettò. Di lì a poco, il volto di Gesù sarebbe scomparso, ma il Maestro sarebbe «rimasto» sotto i veli del «pane spezzato», davanti al quale i loro occhi si erano aperti.
All’umanità, che talora sembra smarrita e dominata dal
potere del male, dell’egoismo e della paura, il Signore risorto offre in dono
il suo amore che perdona, riconcilia e riapre l’animo alla speranza. E’ amore
che converte i cuori e dona la pace. Quanto bisogno ha il mondo di comprendere
e di accogliere la Divina Misericordia!
Signore, che con la tua morte e risurrezione riveli
l’amore del Padre, noi crediamo in Te e con fiducia ti ripetiamo quest’oggi:
Gesù, confido in Te, abbi misericordia di noi e del mondo intero.
Di questo annuncio, che esprime la fiducia nell’amore
onnipotente di Dio, abbiamo particolarmente bisogno nei nostri tempi, in cui
l’uomo prova smarrimento di fronte alle molteplici manifestazioni del male.
Bisogna che l’invocazione della misericordia di Dio scaturisca dal profondo
dei cuori pieni di sofferenza, di apprensione e di incertezza, ma nel contempo
in cerca di una fonte infallibile di speranza. Con gli occhi dell’anima desideriamo
fissare gli occhi di Gesù misericordioso per trovare nella profondità di questo sguardo
il riflesso della sua vita, nonché la luce della grazia che già tante volte abbiamo ricevuto,
e che Dio ci riserva per tutti i giorni e per l’ultimo giorno.
Quanto bisogno della misericordia di Dio ha il mondo di oggi!
In tutti i continenti, dal profondo della sofferenza umana, sembra alzarsi l’invocazione
della misericordia. Dove dominano l’odio e la sete di vendetta, dove la guerra porta il
dolore e la morte degli innocenti occorre la grazia della misericordia a placare le menti
e i cuori, e a far scaturire la pace. Dove viene meno il rispetto per la vita e la dignità
dell’uomo, occorre l’amore misericordioso di Dio, alla cui luce si manifesta l’inesprimibile
valore di ogni essere umano. Occorre la misericordia per far sì che ogni ingiustizia nel mondo
trovi il suo termine nello splendore della verità.
Tutti sappiamo di dover invocare incessantemente la
divina misericordia e un cuore nuovo capace di riconciliazione, oltre ogni
torto subito o inflitto.
Alla Vergine Maria guardano i fedeli che ascoltano la
Parola proclamata nell'assemblea domenicale, imparando da lei a custodirla e
meditarla nel proprio cuore (cfr Lc 2, 19). Con Maria essi imparano a
stare ai piedi della croce, per offrire al Padre il sacrificio di Cristo ed
unire ad esso l'offerta della propria vita. Con Maria vivono la gioia della
risurrezione, facendo proprie le parole del Magnificat che cantano
l'inesauribile dono della divina misericordia nell'inesorabile fluire del
tempo: « Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli
che lo temono » (Lc 1, 50). Di domenica in domenica, il popolo
pellegrinante si pone sulle orme di Maria, e la sua intercessione materna rende
particolarmente intensa ed efficace la preghiera che la Chiesa eleva alla
Santissima Trinità.
La solennità liturgica dell’Annunciazione, ci spinge a
contemplare con gli occhi di Maria l’immenso mistero di questo amore
misericordioso che scaturisce dal Cuore di Cristo. Aiutati da Lei possiamo
comprendere il senso vero della gioia pasquale, che si fonda su questa
certezza: Colui che la Vergine ha portato nel suo grembo, che ha patito ed è
morto per noi, è veramente risorto. Alleluia!
Cristo ha preso su di sé i peccati di tutti noi (cfr. Is
53,12) per soddisfare la giustizia lesa dalla colpa, e in tal modo Egli ha
mantenuto l’equilibrio tra la giustizia e la misericordia del Padre. È
significativo che suor Faustina abbia visto questo Figlio come Dio
misericordioso, contemplandolo però non tanto sulla croce, quanto piuttosto
nella successiva condizione di risorto nella gloria. Ella ha perciò collegato
la sua mistica della misericordia con il mistero della Pasqua, in cui Cristo si
presenta vittorioso sul peccato e sulla morte (cfr. Gv 20, 19-23). Se
ricordo qui suor Faustina e il culto di Cristo misericordioso da lei promosso,
lo faccio perché anche lei appartiene al nostro tempo. Visse nei primi decenni
del XX secolo e morì prima della Seconda guerra mondiale. Proprio in quel
periodo le fu rivelato il mistero della Divina Misericordia, e ciò che
sperimentò lo riferì nel suo Diario. Ai sopravvissuti della Seconda guerra
mondiale, le parole annotate nel Diario di santa Faustina appaiono come
un particolare Vangelo della Divina Misericordia, scritto secondo la
prospettiva del XX secolo. I contemporanei hanno compreso questo messaggio. Lo
hanno compreso proprio attraverso il drammatico accumularsi del male durante la
Seconda guerra mondiale e attraverso le crudeltà dei sistemi totalitari. Fu
come se Cristo avesse voluto rivelare che il limite imposto al male, di cui
l’uomo è artefice e vittima, è in definitiva la Divina Misericordia. Certo, in
essa vi è anche la giustizia, ma questa da sola non costituisce l’ultima parola
dell’economia divina nella storia del mondo e nella storia dell’uomo. Dio sa
sempre trarre il bene dal male, Dio vuole che tutti siano salvi e possano raggiungere
la conoscenza della verità (cfr. 1 Tm 2,4): Dio è Amore (cfr. 1 Gv
4,8). Cristo crocifisso e risorto, così come apparve a suor Faustina, è la
suprema rivelazione di questa verità. È stato come se Cristo, per suo tramite,
avesse voluto dire: «Il male non riporta la vittoria definitiva!». Il mistero
pasquale conferma che il bene, in definitiva, è vittorioso; che la vita
sconfigge la morte e sull’odio trionfa l’amore.
Il male è sempre assenza di un qualche bene che dovrebbe essere presente in un dato essere, è una privazione. Ma non è mai totale assenza di bene.
La storia dell’umanità è il «teatro» della coesistenza del bene e del male. Questo vuol dire che, se il male esiste accanto al bene, il bene però persevera accanto al male e cresce, per così dire, sullo stesso terreno, che è la natura umana. La natura ha conservato una sua capacità di bene, come dimostrano le vicende che si sono susseguite nelle varie epoche della storia.
Suor Faustina divenne la banditrice dell’annuncio secondo cui l’unica verità capace di controbilanciare il male era che Dio è misericordia – era la verità del Cristo misericordioso.
Se la Chiesa, in virtù dello Spirito Santo, chiama il male per nome, lo fa soltanto al fine di indicare all’uomo la possibilità di vincerlo, aprendosi alle dimensioni dell’amore di Dio fino al disprezzo di sé. E questo è il frutto della misericordia divina. In Gesù Cristo, Dio si china sull’uomo per tendergli la mano, per rialzarlo e aiutarlo a riprendere con forza nuova il cammino.
In definitiva si arriva così, sotto lo stimolo del male, a porre in essere un bene più grande. Se qui mi sono soffermato a rilevare il limite imposto al male, devo ora concludere che tale limite è costituito dal bene – il bene divino e quello umano che si sono manifestati nella stessa storia, nell’arco del secolo scorso e di interi millenni. Comunque, non si dimentica facilmente il male di cui si è fatta diretta esperienza. Si può soltanto perdonarlo. E che cosa significa perdonare, se non appellarsi al bene che è più grande di qualunque male? Tale bene, in definitiva, ha il suo fondamento soltanto in Dio. Solo Dio è questo bene. Questo limite posto al male dal Bene divino è entrato a far parte della storia dell’uomo, per opera di Cristo.
La presenza del male è sempre accompagnata dalla presenza del bene, della grazia.
La redenzione continua. Dove cresce il male, lì cresce anche la speranza del bene.
Non vi è male da cui Dio non possa trarre un bene più grande. Non c’è sofferenza che Egli non sappia trasformare in strada che conduce a Lui. Offrendosi liberamente alla passione e alla morte di croce, il Figlio di Dio ha preso su di sé tutto il male del peccato. La sofferenza di Dio crocifisso non è soltanto una forma di sofferenza accanto alle altre, un dolore più o meno grande, ma è una sofferenza di grado e misura incomparabili. Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza, l’ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell’amore. È la sofferenza che brucia e consuma il male con la fiamma dell’amore e trae dal peccato una multiforme fioritura di bene.
Occorre un pacato e limpido sguardo di verità, vivificato dalla misericordia divina, capace di liberare gli spiriti e di suscitare in ciascuno una rinnovata disponibilità, proprio in vista dell'annuncio del Vangelo agli uomini di ogni popolo e nazione.
La multiforme misericordia di Dio, converte i cuori e
infonde la forza della grazia.
Nell'uomo la misericordia include dolore e compassione per le miserie del prossimo. In Dio lo Spirito-amore traduce la considerazione del peccato umano in una nuova elargizione di amore salvifico. Da lui, nell'unità col Padre e col Figlio nasce l'economia della salvezza, che riempie la storia dell'uomo con i doni della redenzione. Se il peccato, rifiutando l'amore, ha generato la «sofferenza» dell'uomo che in qualche modo si è riversata su tutta la creazione, lo Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo. E sulla bocca di Gesù Redentore, nella cui umanità si invera la «sofferenza» di Dio, risuonerà una parola in cui si manifesta l'eterno amore, pieno di misericordia: «Misereor».
In Cristo e mediante Cristo, diventa anche
particolarmente visibile Dio nella sua misericordia, cioè si mette in risalto
quell'attributo della divinità che già l'Antico Testamento, valendosi di
diversi concetti e termini, ha definito «misericordia». Cristo conferisce a
tutta la tradizione veterotestamentaria della misericordia divina un
significato definitivo. Non soltanto parla di essa e la spiega con l'uso di
similitudini e di parabole, ma soprattutto egli stesso la incarna e la
personifca. Egli stesso è, in un certo senso, la misericordia. Per chi la vede
in lui - e in lui la trova - Dio diventa particolarmente «visibile» quale Padre
«ricco di misericordia».
Infatti, la rivelazione e la fede ci insegnano non tanto
a meditare in astratto il mistero di Dio come «Padre delle misericordie», ma a
ricorrere a questa stessa misericordia nel nome di Cristo e in unione con lui.
Cristo non ha forse detto che il nostro Padre, il quale «vede nel segreto»,
attende, si direbbe, continuamente che noi, richiamandoci a lui in ogni
necessità, scrutiamo sempre il suo mistero: il mistero del Padre e del suo
amore? Desidero quindi che queste considerazioni rendano più vicino a tutti
tale mistero e diventino, nello stesso tempo, un vibrante appello della Chiesa
per la misericordia di cui l'uomo e il mondo contemporaneo hanno tanto bisogno.
E ne hanno bisogno anche se sovente non lo sanno.
Gesù, soprattutto con il suo stile di vita e con le sue
azioni, ha rivelato come nel mondo in cui viviamo è presente l'amore, l'amore
operante, l'amore che si rivolge all'uomo ed abbraccia tutto ciò che forma la
sua umanità. Tale amore si fa particolarmente notare nel contatto con la
sofferenza, l'ingiustizia, la povertà, a contatto con tutta la «condizione
umana» storica, che in vari modi manifesta la limitatezza e la fragilità
dell'uomo, sia fisica che morale. Appunto il modo e l'ambito in cui si
manifesta l'amore viene denominato nel linguaggio biblico «misericordia».
Cristo quindi rivela Dio che è Padre, che è «amore», come si esprimerà nella sua prima lettera san Giovanni; rivela Dio «ricco di misericordia», come leggiamo in san Paolo. Tale verità, più che tema di un insegnamento, è una realtà a noi resa presente da Cristo. Il render presente il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza di Cristo stesso, la fondamentale verifica della sua missione di Messia, lo confermano le parole da lui pronunciate prima nella sinagoga di Nazaret, poi dinanzi ai suoi discepoli ed agli inviati di Giovanni Battista.
In base ad un tal modo di manifestare la presenza di Dio
che è Padre, amore e misericordia, Gesù fa della misericordia stessa uno dei
principali temi della sua predicazione. Come al solito, anche qui egli insegna
innanzitutto «in parabole», perché queste esprimono meglio l'essenza stessa
delle cose. Basta ricordare la parabola del figliol prodigo, oppure quella del
buon samaritano, ma anche - per contrasto - la parabola del servo spietato.
Sono molti i passi dell'insegnamento di Cristo che manifestano
l'amore-misericordia sotto un aspetto sempre nuovo. È suffìciente avere davanti
agli occhi il buon pastore, che va in cerca della pecorella smarrita, oppure la
donna che spazza la casa in cerca della dramma perduta. L'evangelista che
tratta particolarmente questi temi nell'insegnamento di Cristo è Luca, il cui
Vangelo ha meritato di essere chiamato «il Vangelo della misericordia».
Quando si parla della predicazione, si apre un problema
di capitale importanza in merito al significato dei termini ed al contenuto del
concetto, soprattutto al contenuto del concetto di «misericordia» (in rapporto
al concetto di «amore»). La comprensione di quel contenuto è la chiave per
intendere la realtà stessa della misericordia. Ed è questo quel che per noi più
importa. Tuttavia, prima di dedicare un'ulteriore parte delle nostre
considerazioni a questo argomento, cioè di stabilire il significato dei
vocaboli e il contenuto proprio del concetto di «misericordia», è necessario
constatare che Cristo, nel rivelare l'amore - misericordia di Dio, esigeva al
tempo stesso dagli uomini che si facessero anche guidare nella loro vita
dall'amore e dalla misericordia. Questa esigenza fa parte dell'essenza stessa
del messaggio messianico, e costituisce il midollo dell'ethos evangelico. Il
Maestro lo esprime sia per mezzo del comandamento da lui definito come «il più
grande», sia in forma di benedizione, quando nel Discorso della montagna
proclama: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia».
In tal modo, il messaggio messianico sulla misericordia
conserva una particolare dimensione divino-umana. Cristo - quale compimento
delle profezie messianiche - divenendo l'incarnazione dell'amore che si
manifesta con particolare forza nei riguardi dei sofferenti, degli infelici e
dei peccatori, rende presente e in questo modo rivela più pienamente il Padre,
che è Dio «ricco di misericordia». Contemporaneamente, divenendo per gli uomini
modello dell'amore misericordioso verso gli altri, Cristo proclama con i fatti
ancor più che con le parole quell'appello alla misericordia, che è una delle
componenti essenziali dell'«ethos del Vangelo». In questo caso non si tratta
solo di adempiere un comandamento o una esigenza di natura etica, ma anche di
soddisfare una condizione di capitale importanza, affinché Dio si possa
rivelare nella sua misericordia verso l'uomo: «I misericordiosi... troveranno
misericordia».
La parabola del figliol prodigo esprime in modo semplice,
ma profondo, la realtà della conversione. Questa è la più concreta espressione
dell'opera dell'amore e della presenza della misericordia nel mondo umano. Il
significato vero e proprio della misericordia non consiste soltanto nello
sguardo, fosse pure il più penetrante e compassionevole, rivolto verso il male
morale, fisico o materiale: la misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e
proprio quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male
esistenti nel mondo e nell'uomo. Così intesa, essa costituisce il contenuto
fondamentale del messaggio messianico di Cristo e la forza costitutiva della
sua missione. Allo stesso modo intendevano e praticavano la misericordia i suoi
discepoli e seguaci. Essa non cessò mai di rivelarsi, nei loro cuori e nelle
loro azioni, come una verifica particolarmente creatrice dell'amore che non si
lascia «vincere dal male», ma vince «con il bene il male». Occorre che il volto
genuino della misericordia sia sempre nuovamente svelato. Nonostante molteplici
pregiudizi, essa appare particolarmente necessaria ai nostri tempi.
Vincere il male con le armi dell’amore diviene il modo con cui
ciascuno può contribuire alla pace di tutti. E’ questa la via sulla quale sono chiamati a
camminare cristiani e credenti di religioni diverse, insieme con quanti si riconoscono nella
legge morale universale.
Il messaggio messianico di Cristo e la sua attività fra
gli uomini terminano con la croce e la risurrezione. Dobbiamo penetrare
profondamente in questo evento finale che, specialmente nel linguaggio
conciliare, viene definito mistero pasquale, se vogliamo esprimere sino in
fondo la verità sulla misericordia, così come essa è stata sino in fondo
rivelata nella storia della nostra salvezza. A questo punto delle nostre
considerazioni, occorrerà avvicinarci ancora di più al contenuto dell'enciclica
Redemptor hominis. Se infatti la realtà della redenzione, nella sua dimensione
umana, svela la grandezza inaudita dell'uomo, che meritò di avere un così
grande Redentore, al tempo stesso la dimensione divina della redenzione ci
consente, direi, nel modo più empirico e «storico», di svelare la profondità di
quell'amore che non indietreggia davanti allo straordinario sacrificio del
Figlio, per appagare la fedeltà del Creatore e Padre nei riguardi degli uomini
creati a sua immagine e fìn dal «principio» scelti, in questo Figlio, per la
grazia e per la gloria.
Gli eventi del Venerdì santo e, prima ancora, la
preghiera nel Getsemani introducono, in tutto il corso della rivelazione
dell'amore e della misericordia, nella missione messianica di Cristo, un
cambiamento fondamentale. Colui che «passò beneficando e risanando» e «curando
ogni malattia e infermità» sembra ora egli stesso meritare la più grande
misericordia e richiamarsi alla misericordia, quando viene arrestato,
oltraggiato, condannato, flagellato, coronato di spine, quando viene inchiodato
alla croce e spira fra tormenti strazianti. È allora che merita particolarmente
la misericordia dagli uomini che ha beneficato, e non la riceve. Perfino coloro
che gli sono più vicini non sanno proteggerlo e strapparlo dalle mani degli
oppressori. In questa tappa finale della missione messianica si adempiono in
Cristo le parole dei profeti e soprattutto di Isaia, pronunciate riguardo al
Servo di Jahvè: «Per le sue piaghe noi siamo stati guariti».
Cristo, come uomo che soffre realmente e in modo
terribile nell'orto degli ulivi e sul Calvario, si rivolge al Padre, a quel
Padre il cui amore egli ha predicato agli uomini, la cui misericordia ha
testimoniato con tutto il suo agire. Ma non gli viene risparmiata - proprio a
lui - la tremenda sofferenza della morte in croce: «Colui che non aveva
conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore», scriverà san
Paolo, riassumendo in poche parole tutta la profondità del mistero della croce
ed insieme la dimensione divina della realtà della redenzione. Proprio questa
redenzione è l'ultima e definitiva rivelazione della santità di Dio, che è la
pienezza assoluta della perfezione: pienezza della giustizia e dell'amore,
poiché la giustizia si fonda sull'amore, da esso promana e ad esso tende. Nella
passione e morte di Cristo - nel fatto che il Padre non risparmiò il suo
Figlio, ma «lo trattò da peccato in nostro favore» - si esprime la giustizia
assoluta, perché Cristo subisce la passione e la croce a causa dei peccati
dell'umanità. Ciò è addirittura una «sovrabbondanza» della giustizia, perché i
peccati dell'uomo vengono «compensati» dal sacrificio dell'Uomo-Dio. Tuttavia,
tale giustizia, che è propriamente giustizia «su misura» di Dio, nasce tutta
dall'amore: dall'amore del Padre e del Figlio, e fruttifica tutta nell'amore.
Proprio per questo la giustizia divina rivelata nella croce di Cristo è «su
misura» di Dio, perché nasce dall'amore e nell'amore si compie, generando
frutti di salvezza. La dimensione divina della redenzione non si attua soltanto
nel far giustizia del peccato, ma nel restituire all'amore quella forza
creativa nell'uomo, grazie alla quale egli ha nuovamente accesso alla pienezza
di vita e di santità che proviene da Dio. In tal modo, la redenzione porta in
sé la rivelazione della misericordia nella sua pienezza.
Il mistero pasquale è il vertice di questa rivelazione ed
attuazione della misericordia, che è capace di giustificare l'uomo, di
ristabilire la giustizia nel senso di quell'ordine salvifico che Dio dal
principio aveva voluto nell'uomo e, mediante l'uomo, nel mondo. Cristo
sofferente parla in modo particolare all'uomo, e non soltanto al credente.
Anche l'uomo non credente saprà scoprire in lui l'eloquenza della solidarietà
con la sorte umana, come pure l'armoniosa pienezza di una disinteressata
dedizione alla causa dell'uomo, alla verità e all'amore. La dimensione divina
del mistero pasquale giunge, tuttavia, ancor più in profondità. La croce
collocata sul Calvario, su cui Cristo svolge il suo ultimo dialogo col Padre,
emerge dal nucleo stesso di quell'amore di cui l'uomo, creato ad immagine e
somiglianza di Dio, è stato ratificato secondo l'eterno disegno divino. Dio,
quale Cristo ha rivelato, non rimane soltanto in stretto collegamento col
mondo, come creatore e ultima fonte dell'esistenza. Egli è anche Padre: con
l'uomo, da lui chiamato all'esistenza nel mondo visibile, è unito da un vincolo
ancor più profondo di quello creativo. È l'amore che non soltanto crea il bene,
ma fa partecipare alla vita stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo.
Infatti, colui che ama desidera donare se stesso. La croce di Cristo sul
Calvario sorge sulla via di quel meraviglioso scambio, di quel mirabile
comunicarsi di Dio all'uomo, in cui è al tempo stesso contenuta la chiamata
rivolta all'uomo, affinché, donando se stesso a Dio e con sé tutto il mondo
visibile, partecipi alla vita divina, - e affinché come figlio adottivo divenga
partecipe della verità e dell'amore che è in Dio e che proviene da Dio. Proprio
sulla via dell'eterna elezione dell'uomo alla dignità di figlio adottivo di
Dio, sorge nella storia la croce di Cristo, Figlio unigenito, che, come «luce
da luce, Dio vero da Dio vero», è venuto a dare l'ultima testimonianza della
mirabile alleanza di Dio con l'umanità, di Dio con l'uomo - con ogni uomo.
Questa alleanza, antica come l'uomo - risale al mistero stesso della creazione
- e ristabilita poi più volte con un unico popolo eletto, è ugualmente
l'alleanza nuova e definitiva, stabilita là, sul Calvario, e non limitata ad un
unico popolo, ad Israele, ma aperta a tutti e a ciascuno.
Che cosa dunque ci dice la croce di Cristo, che è, in un
certo senso, l'ultima parola del suo messaggio e della sua missione messianica?
- Eppure, questa non è ancora l'ultima parola del Dio dell'alleanza: essa sarà
pronunciata in quell'alba, quando prima le donne e poi gli apostoli, venuti al
sepolcro di Cristo crocifisso, vedranno la tomba vuota e sentiranno per la
prima volta l'annuncio: «È risorto». Essi lo ripeteranno agli altri e saranno
testimoni del Cristo risorto. Tuttavia, anche in questa glorificazione del
Figlio di Dio continua ad esser presente la croce, la quale - attraverso tutta
la testimonianza messianica dell'Uomo-Figlio, che su di essa ha subito la morte
- parla e non cessa mai di parlare di Dio-Padre, che è assolutamente fedele al
suo eterno amore verso l'uomo, poiché «ha tanto amato il mondo - quindi l'uomo
nel mondo - da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non
muoia, ma abbia la vita eterna». Credere nel Figlio crocifisso significa
«vedere il Padre», significa credere che l'amore è presente nel mondo e che
questo amore è più potente di ogni genere di male in cui l'uomo, l'umanità, il
mondo sono coinvolti. Credere in tale amore significa credere nella
misericordia. Questa infatti è la dimensione indispensabile dell'amore, è come
il suo secondo nome e, al tempo stesso, è il modo specifico della sua rivelazione
ed attuazione nei confronti della realtà del male che è nel mondo, che tocca e
assedia l'uomo, che si insinua anche nel suo cuore e può farlo «perire nella
Geenna».
La croce di Cristo sul Calvario è anche testimonianza
della forza del male verso lo stesso Figlio di Dio, verso colui che, unico fra
tutti i figli degli uomini, era per sua natura assolutamente innocente e libero
dal peccato, e la cui venuta nel mondo fu esente dalla disobbedienza di Adamo e
dall'eredità del peccato originale. Ed ecco, proprio in lui, in Cristo, viene
fatta giustizia del peccato a prezzo del suo sacrificio, della sua obbedienza
«fino alla morte». Colui che era senza peccato, «Dio lo trattò da peccato in
nostro favore». Viene anche fatta giustizia della morte che, dagli inizi della
storia dell'uomo, si era alleata col peccato. Questo far giustizia della morte
avviene a prezzo della morte di colui che era senza peccato e che unico poteva
- mediante la propria morte - infliggere morte alla morte. In tal modo la croce
di Cristo, sulla quale il Figlio consostanziale al Padre rende piena giustizia
a Dio, è anche una rivelazione radicale della misericordia, ossia dell'amore
che va contro a ciò che costituisce la radice stessa del male nella storia
dell'uomo: contro al peccato e alla morte. La croce è il più profondo chinarsi
della Divinità sull'uomo e su ciò che l'uomo - specialmente nei momenti
difficili e dolorosi - chiama il suo infelice destino. La croce è come un tocco
dell'eterno amore sulle ferite più dolorose dell'esistenza terrena dell'uomo, è
il compimento sino alla fine del programma messianico, che Cristo formulò una
volta nella sinagoga di Nazaret e ripeté poi dinanzi agli inviati di Giovanni
Battista. Secondo le parole scritte già nella profezia di Isaia, tale programma
consisteva nella rivelazione dell'amore misericordioso verso i poveri, i
sofferenti e i prigionieri, verso i non vedenti, gli oppressi e i peccatori.
Nel mistero pasquale viene oltrepassato il limite del molteplice male di cui
l'uomo diventa partecipe nell'esistenza terrena: la croce di Cristo infatti ci
fa comprendere le più profonde radici del male che affondano nel peccato e
nella morte, e cosi diventa un segno escatologico. Soltanto nel compimento
escatologico e nel definitivo rinnovamento del mondo, l'amore in tutti gli
eletti vincerà le sorgenti più profonde del male, portando quale frutto
pienamente maturo il Regno della vita e della santità e dell'immortalità
gloriosa. Il fondamento di tale compimento escatologico è già racchiuso nella
croce di Cristo e nella sua morte. Il fatto che Cristo «è risuscitato il terzo
giorno» costituisce il segno finale della missione messianica, segno che corona
l'intera rivelazione dell'amore misericordioso nel mondo soggetto al male. Ciò
costituisce al tempo stesso il segno che preannuncia «un nuovo cielo e una
nuova terra», quando Dio «tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più
la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono
passate».
Nel compimento escatologico la misericordia si rivelerà
come amore, mentre nella temporaneità, nella storia umana, che è insieme storia
di peccato e di morte, l'amore deve rivelarsi soprattutto come misericordia ed
anche attuarsi come tale. Il programma messianico di Cristo - programma di
misericordia - diviene il programma del suo popolo, il programma della Chiesa.
Al centro di questo sta sempre la croce, poiché in essa la rivelazione
dell'amore misericordioso raggiunge il suo culmine. Fino a che «le cose di
prima» non passeranno, la croce rimarrà quel «luogo» al quale potrebbero
riferirsi ancora altre parole dell'Apocalisse di Giovanni: «Ecco, sto alla
porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da
lui, cenerò con lui ed egli con me». In modo particolare, Dio rivela anche la
sua misericordia quando sollecita l'uomo alla «misericordia» verso il suo
proprio Figlio, verso il crocifisso. Cristo, appunto come crocifisso, è il
Verbo che non passa, è colui che sta alla porta e bussa al cuore di ogni uomo,
senza coartarne la libertà, ma cercando di trarre da questa stessa libertà
l'amore, che è non soltanto atto di solidarietà con il sofferente Figlio
dell'uomo, ma anche in certo modo «misericordia» manifestata da ognuno di noi
al Figlio dell'eterno Padre. In tutto questo programma messianico di Cristo, in
tutta la rivelazione della misericordia mediante la croce, potrebbe forse
essere maggiormente rispettata ed elevata la dignità dell'uomo, dato che egli,
trovando misericordia, è anche, in un certo senso, colui che contemporaneamente
«manifesta la misericordia»?
In definitiva, Cristo non prende forse tale posizione nei
riguardi dell'uomo quando dice: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno
solo di questi..., l'avete fatto a me»? Le parole del discorso della montagna:
«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia», non costituiscono in
un certo senso una sintesi di tutta la Buona Novella, di tutto il «mirabile
scambio» (admirabile commercium) ivi racchiuso, che è una legge semplice, forte
ed insieme «dolce» dell'economia stessa della salvezza? Queste parole del
discorso della montagna, facendo vedere nel punto di partenza le possibilità
del «cuore umano» («essere misericordiosi»), non rivelano forse secondo la
medesima prospettiva il profondo mistero di Dio: quella inscrutabile unità del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, in cui l'amore, contenendo la
giustizia, dà l'avvio alla misericordia, che a sua volta rivela la perfezione
della giustizia?
Il mistero pasquale è Cristo al vertice della rivelazione dell'inscrutabile mistero di Dio. Proprio allora si adempiono sino in fondo le parole pronunciate nel cenacolo: «Chi ha visto me, ha visto il Padre». Infatti Cristo, che il Padre «non ha risparmiato» in favore dell'uomo e che nella sua passione e nel supplizio della croce non ha trovato misericordia umana, nella sua risurrezione ha rivelato la pienezza di quell'amore che il Padre nutre verso di lui e, in lui, verso tutti gli uomini. «Non è un Dio dei morti, ma dei viventi». Nella sua risurrezione Cristo ha rivelato il Dio dell'amore misericordioso, proprio perché ha accettato la croce come via alla risurrezione. Ed è per questo che - quando ricordiamo la croce di Cristo, la sua passione e morte - la nostra fede e la nostra speranza s'incentrano sul Risorto: su quel Cristo che «la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato... si fermò in mezzo a loro» nel cenacolo «dove si trovavano i discepoli, ...alitò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi».
Prima di pronunciare queste parole,
Gesù mostra le mani e il costato. Addita cioè le ferite della Passione,
soprattutto la ferita del cuore, sorgente da cui scaturisce la grande onda di
misericordia che si riversa sull'umanità. Da quel cuore suor Faustina Kowalska,
la beata che d'ora in poi chiameremo santa, vedrà partire due fasci di luce che
illuminano il mondo: "I due raggi – le spiegò un giorno Gesù stesso -
rappresentano il sangue e l'acqua" (Diario, Libreria Editrice
Vaticana, p. 132). Sangue ed acqua! Il pensiero corre alla testimonianza
dell'evangelista Giovanni che, quando un soldato sul Calvario colpì con la
lancia il costato di Cristo, vide uscirne "sangue ed acqua" (cfr Gv
19, 34). E se il sangue evoca il sacrificio della croce e il dono eucaristico,
l'acqua, nella simbologia giovannea, ricorda non solo il battesimo, ma anche il
dono dello Spirito Santo (cfr Gv 3,5; 4,14; 7,37-39). Attraverso il
cuore di Cristo crocifisso la misericordia divina raggiunge gli uomini:
"Figlia mia, dì che sono l'Amore e la Misericordia in persona",
chiederà Gesù a Suor Faustina (Diario, 374). Questa misericordia Cristo
effonde sull'umanità mediante l'invio dello Spirito che, nella Trinità, è la
Persona-Amore. E non è forse la misericordia un "secondo nome"
dell'amore (cfr Dives in misericordia, 7), colto nel suo aspetto più
profondo e tenero, nella sua attitudine a farsi carico di ogni bisogno,
soprattutto nella sua immensa capacità di perdono?
Disse Gesù a Suor Faustina:
"L'umanità non troverà pace, finché non si rivolgerà con fiducia alla
divina misericordia" (Diario, p. 132). Attraverso l'opera
della religiosa polacca, questo messaggio si è legato per sempre al secolo
ventesimo, ultimo del secondo millennio e ponte verso il terzo millennio. Non è
un messaggio nuovo, ma si può ritenere un dono di speciale illuminazione, che
ci aiuta a rivivere più intensamente il Vangelo della Pasqua, per offrirlo come
un raggio di luce agli uomini ed alle donne del nostro tempo. Come gli Apostoli
un tempo, è necessario però che anche l'umanità di oggi accolga nel cenacolo
della storia Cristo risorto, che mostra le ferite della sua crocifissione e
ripete: Pace a voi! Occorre che l'umanità si lasci raggiungere e
pervadere dallo Spirito che Cristo risorto le dona. E' lo Spirito che risana le
ferite del cuore, abbatte le barriere che ci distaccano da Dio e ci dividono
tra di noi, restituisce insieme la gioia dell'amore del Padre e quella
dell'unità fraterna.
Non è facile, amare di un amore profondo, fatto di
autentico dono di sé. Questo amore si apprende solo alla scuola di Dio, al
calore della sua carità. Fissando lo sguardo su di Lui, sintonizzandoci col suo
cuore di Padre, diventiamo capaci di guardare ai fratelli con occhi nuovi, in
atteggiamento di gratuità e di condivisione, di generosità e di perdono. Tutto
questo è misericordia!
Nella misura in cui l'umanità saprà
apprendere il segreto di questo sguardo misericordioso, si rivela prospettiva
realizzabile il quadro ideale proposto nella prima lettura: "La
moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima
sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa
era fra loro comune" (At 4, 32). Qui la misericordia del cuore è
divenuta anche stile di rapporti, progetto di comunità, condivisione di beni.
Qui sono fiorite le «opere della misericordia», spirituali e corporali. Qui la
misericordia è divenuta concreto farsi «prossimo» verso i fratelli più
indigenti. E' a questo amore che l'umanità di oggi deve ispirarsi per
affrontare la crisi di senso, le sfide dei più diversi bisogni, soprattutto
l'esigenza di salvaguardare la dignità di ciascuna persona umana. Il messaggio
della divina misericordia è così, implicitamente, anche un messaggio sul
valore di ogni uomo. Ogni persona è preziosa agli occhi di Dio, per
ciascuno Cristo ha dato la sua vita, a tutti il Padre fa dono del suo Spirito e
offre l'accesso alla sua intimità. Questo messaggio consolante si rivolge
soprattutto a chi, afflitto da una prova particolarmente dura o schiacciato dal
peso dei peccati commessi, ha smarrito ogni fiducia nella vita ed è tentato di
cedere alla disperazione. A lui si presenta il volto dolce di Cristo, su di lui
arrivano quei raggi che partono dal suo cuore e illuminano, riscaldano,
indicano il cammino e infondono speranza. Quante anime ha già consolato
l'invocazione "Gesù, confido in Te", che la Provvidenza ha
suggerito attraverso Suor Faustina! Questo semplice atto di abbandono a Gesù
squarcia le nubi più dense e fa passare un raggio di luce nella vita di
ciascuno. E tu, Faustina, dono di Dio al nostro tempo, dono della terra di
Polonia a tutta la Chiesa, ottienici di percepire la profondità della divina
misericordia, aiutaci a farne esperienza viva e a testimoniarla ai fratelli. Il
tuo messaggio di luce e di speranza si diffonda in tutto il mondo, spinga alla
conversione i peccatori, sopisca le rivalità e gli odi, apra gli uomini e le
nazioni alla pratica della fraternità. Noi oggi, fissando lo sguardo con te sul
volto di Cristo risorto, facciamo nostra la tua preghiera di fiducioso
abbandono e diciamo con ferma speranza: Gesù, confido in Te!
Ecco il Figlio di Dio, che nella sua risurrezione ha
sperimentato in modo radicale su di sé la misericordia, cioè l'amore del Padre
che è più potente della morte. Ed è anche lo stesso Cristo, Figlio di Dio, che
al termine - e in certo senso già oltre il termine - della sua missione
messianica, rivela se stesso come fonte inesauribile della misericordia, del
medesimo amore che, nella prospettiva ulteriore della storia della salvezza
nella Chiesa, deve perennemente confermarsi più potente del peccato. Il Cristo
pasquale è l'incarnazione definitiva della misericordia, il suo segno vivente:
storicosalvifìco ed insieme escatologico. Nel medesimo spirito, la liturgia del
tempo pasquale pone sulle nostre labbra le parole del Salmo: Canterò in eterno
le misericordie del Signore.
In queste parole pasquali della Chiesa risuonano, nella
pienezza del loro contenuto profetico, quelle già pronunciate da Maria durante
la visita fatta a Elisabetta, moglie di Zaccaria: «Di generazione in
generazione la sua misericordia». Esse, già dal momento dell'incarnazione,
aprono una nuova prospettiva della storia della salvezza. Dopo la risurrezione
di Cristo questa prospettiva è nuova sul piano storico e, al tempo stesso, lo è
sul piano escatologico. Da allora si susseguono sempre nuove generazioni di
uomini nell'immensa famiglia umana, in dimensioni sempre crescenti; si
susseguono anche nuove generazioni del Popolo di Dio, segnate dallo stigma
della croce e della risurrezione, e «sigillate» con il segno del mistero
pasquale di Cristo, rivelazione assoluta di quella misericordia che Maria
proclamò sulla soglia di casa della sua parente: «Di generazione in generazione
la sua misericordia».
Maria è anche colei che, in modo particolare ed
eccezionale - come nessun altro -, ha sperimentato la misericordia e al tempo
stesso, sempre in modo eccezionale, ha reso possibile col sacrificio del cuore
la propria partecipazione alla rivelazione della misericordia divina. Tale
sacrificio è strettamente legato alla croce del Figlio, ai piedi della quale
ella doveva trovarsi sul Calvario. Questo suo sacrificio è una singolare
partecipazione al rivelarsi della misericordia, cioè alla fedeltà assoluta di
Dio al proprio amore, all'alleanza che egli ha voluto fin dall'eternità ed ha
concluso nel tempo con l'uomo, con il popolo, con l'umanità; è la
partecipazione a quella rivelazione che si è definitivamente compiuta
attraverso la croce. Nessuno ha sperimentato, al pari della Madre del
Crocifisso, il mistero della croce, lo sconvolgente incontro della trascendente
giustizia divina con l'amore: quel «bacio» dato dalla misericordia alla
giustizia. Nessuno al pari di lei, Maria, ha accolto col cuore quel mistero:
quella dimensione veramente divina della redenzione che ebbe attuazione sul
Calvario mediante la morte del Figlio, insieme al sacrificio del suo cuore di
madre, insieme al suo definitivo «fiat».
Maria quindi è colei che conosce più a fondo il mistero
della misericordia divina. Ne sa il prezzo, e sa quanto esso sia grande. In
questo senso la chiamano anche Madre della misericordia: Madonna della
misericordia o Madre della divina misericordia; in ciascuno di questi titoli
c'è un profondo significato teologico, perché essi esprimono la particolare
preparazione della sua anima, di tutta la sua personalità, nel saper vedere,
attraverso i complessi avvenimenti di Israele prima, e di ogni uomo e
dell'umanità intera poi, quella misericordia di cui «di generazione in
generazione» si diviene partecipi secondo l'eterno disegno della SS. Trinità.
I suddetti titoli che attribuiamo alla Madre di Dio
parlano però soprattutto di lei come della Madre del Crocifisso e del Risorto;
come di colei che, avendo sperimentato la misericordia in modo eccezionale,
«merita» in egual modo tale misericordia lungo l'intera sua vita terrena e,
particolarmente, ai piedi della croce del Figlio; ed infìne, come di colei che,
attraverso la partecipazione nascosta e al tempo stesso incomparabile alla
missione messianica del suo Figlio, è stata chiamata in modo speciale ad
avvicinare agli uomini quell'amore che egli era venuto a rivelare: amore che
trova la più concreta espressione nei riguardi di coloro che soffrono, dei
poveri, di coloro che son privi della propria libertà, dei non vedenti, degli
oppressi e dei peccatori, cosi come ne parlò Cristo secondo la profezia di
Isaia, prima nella sinagoga di Nazaret e poi in risposta alla richiesta degli
inviati di Giovanni Battista.
Appunto a questo amore «misericordioso», che viene
manifestato soprattutto a contatto con il male morale e fisico, partecipava in
modo singolare ed eccezionale il cuore di colei che fu Madre del Crocifisso e
del Risorto, partecipava Maria. Ed in lei e per mezzo di lei, esso non cessa di
rivelarsi nella storia della Chiesa e dell'umanità. Tale rivelazione è
specialmente fruttuosa, perché si fonda, nella Madre di Dio, sul singolare
tatto del suo cuore materno, sulla sua particolare sensibilità, sulla sua
particolare idoneità a raggiungere tutti coloro che accettano più facilmente
l'amore misericordioso da parte di una madre. Questo è uno dei grandi e
vivificanti misteri del cristianesimo, tanto strettamente connesso con il
mistero dell'incarnazione.
«Questa maternità di Maria nell'economia della grazia -
come si esprime il Concilio Vaticano II - perdura senza soste dal momento del
consenso fedelmente prestato nell'annunciazione e mantenuto senza esitazioni
sotto la croce, fino al perpetuo coronamento di tutti gli eletti. Difatti,
assunta in cielo non ha deposto questa funzione di salvezza, ma con la sua
molteplice intercessione continua a ottenerci le grazie della salute eterna.
Con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora
peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano
condotti nella patria beata».
Abbiamo ogni diritto di credere che anche la nostra
generazione è stata compresa nelle parole della Madre di Dio, quando
glorificava quella misericordia di cui «di generazione in generazione» sono
partecipi coloro che si lasciano guidare dal timore di Dio. Le parole del
Magnificat mariano hanno un contenuto profetico che riguarda non soltanto il
passato di Israele, ma anche l'intero avvenire del Popolo di Dio sulla terra.
Siamo infatti, noi tutti che viviamo al presente sulla terra, la generazione
che è consapevole dell'approssimarsi del terzo Millennio e che sente
profondamente la svolta che si sta verifìcando nella storia.
Facciamo ricorso a quell'amore paterno che ci è stato
rivelato da Cristo nella sua missione messianica, e che raggiunse il culmine
nella sua croce, nella sua morte e risurrezione! Facciamo ricorso a Dio
mediante Cristo, memori delle parole del Magnificat di Maria che proclamano la
misericordia «di generazione in generazione»! Imploriamo la misericordia divina
per la generazione contemporanea! La Chiesa che sul modello di Maria cerca di
essere anche madre degli uomini in Dio, esprima in questa preghiera la sua
materna sollecitudine ed insieme il fiducioso amore, da cui appunto nasce la
più ardente necessità della preghiera.
Supplichiamo per intercessione di Colei che non cessa di proclamare «la misericordia di generazione in generazione», ed anche di coloro per i quali si sono compiutamente realizzate le parole del discorso della montagna: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia».
Maria è Madre di misericordia perché Gesù Cristo, suo
Figlio, è mandato dal Padre come Rivelazione della misericordia di Dio (cf Gv
3, 16-18). Egli è venuto non per condannare ma per perdonare, per usare
misericordia (cf Mt 9,13). E la misericordia più grande sta nel suo
essere in mezzo a noi e nella chiamata che ci è rivolta ad incontrare Lui e a
confessarlo, insieme con Pietro, come «il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16).
Nessun peccato dell'uomo può cancellare la misericordia di Dio, può impedirle
di sprigionare tutta la sua forza vittoriosa, se appena la invochiamo. Anzi, lo
stesso peccato fa risplendere ancora di più l'amore del Padre che, per
riscattare lo schiavo, ha sacrificato il suo Figlio: la sua misericordia per
noi è redenzione. Questa misericordia giunge a pienezza con il dono dello
Spirito, che genera ed esige la vita nuova. Per quanto numerosi e grandi siano
gli ostacoli opposti dalla fragilità e dal peccato dell'uomo, lo Spirito, che
rinnova la faccia della terra (cf Sal 1031,30), rende possibile il
miracolo del compimento perfetto del bene. Questo rinnovamento, che dà la
capacità di fare ciò che è buono, nobile, bello, gradito a Dio e conforme alla
sua volontà, è in un certo senso la fioritura del dono della misericordia, che
libera dalla schiavitù del male e dà la forza di non peccare più. Attraverso il
dono della vita nuova Gesù ci rende partecipi del suo amore e ci conduce al
Padre nello Spirito.
Maria è Madre di misericordia anche perché a lei Gesù
affida la sua Chiesa e l'intera umanità. Ai piedi della Croce, quando accetta
Giovanni come figlio, quando chiede, insieme con Cristo, il perdono al Padre
per coloro che non sanno quello che fanno (cf Lc 23,34), Maria in
perfetta docilità allo Spirito sperimenta la ricchezza e l'universalità
dell'amore di Dio, che le dilata il cuore e la fa capace di abbracciare
l'intero genere umano. È resa, in tal modo, Madre di tutti noi, e di ciascuno
di noi, Madre che ci ottiene la misericordia divina.
Maria è segno luminoso ed esempio affascinante di vita
morale: «la vita di lei sola è insegnamento per tutti», scrive sant'Ambrogio, che rivolgendosi in particolare alle vergini ma in un
orizzonte aperto a tutti così afferma: «Il primo ardente desiderio di imparare
lo dà la nobiltà del maestro. E chi è più nobile della Madre di Dio? o più
splendida di Colei che fu eletta dallo stesso Splendore?». Maria vive e realizza la propria libertà donando se
stessa a Dio ed accogliendo in sé il dono di Dio. Custodisce nel suo grembo
verginale il Figlio di Dio fatto uomo fino al tempo della nascita, lo alleva,
lo fa crescere e lo accompagna in quel gesto supremo di libertà, che è il
sacrificio totale della propria vita. Con il dono di se stessa, Maria entra
pienamente nel disegno di Dio, che si dona al mondo. Accogliendo e meditando
nel suo cuore avvenimenti che non sempre comprende (cf Lc 2,19), diventa
il modello di tutti coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano (cf Lc
11, 28) e merita il titolo di «Sede della Sapienza». Questa Sapienza è Gesù
Cristo stesso, il Verbo eterno di Dio, che rivela e compie perfettamente la
volontà del Padre (cf Eb 10,5-10). Maria invita ogni uomo ad accogliere
questa Sapienza. Anche a noi rivolge l'ordine dato ai servi, a Cana in Galilea
durante il banchetto di nozze: «Fate quello che egli vi dirà» (Gv 2,5).
Maria condivide la nostra condizione umana, ma in una totale trasparenza alla grazia di Dio. Non avendo conosciuto il peccato, ella è in grado di compatire ogni debolezza. Comprende l'uomo peccatore e lo ama con amore di Madre. Proprio per questo sta dalla parte della verità e condivide il peso della Chiesa nel richiamare a tutti e sempre le esigenze morali. Per lo stesso motivo non accetta che l'uomo peccatore venga ingannato da chi pretenderebbe di amarlo giustificandone il peccato, perché sa che in tal modo sarebbe reso vano il sacrificio di Cristo, suo Figlio. Nessuna assoluzione, offerta da compiacenti dottrine anche filosofiche o teologiche, può rendere l'uomo veramente felice: solo la Croce e la gloria di Cristo risorto possono donare pace alla sua coscienza e salvezza alla sua vita.
O Maria,
Madre di misericordia,
veglia su tutti
perché non venga resa vana la croce di Cristo,
perché l'uomo non smarrisca la via del bene,
non perda la coscienza del peccato,
cresca nella speranza in Dio
«ricco di misericordia» (Ef 2,4),
compia liberamente le opere buone
da Lui predisposte (cf Ef 2,10)
e sia così con tutta la vita
«a lode della sua gloria» (Ef 1,12).
Quando la Chiesa celebra l'Eucaristia, memoriale della
morte e risurrezione del suo Signore, questo evento centrale di salvezza è reso
realmente presente e « si effettua l'opera della nostra redenzione ». Questo sacrificio è talmente decisivo per la salvezza
del genere umano che Gesù Cristo l'ha compiuto ed è tornato al Padre soltanto dopo
averci lasciato il mezzo per parteciparvi come se vi fossimo stati
presenti. Ogni fedele può così prendervi parte e attingerne i frutti
inesauribilmente. Questa è la fede, di cui le generazioni cristiane hanno
vissuto lungo i secoli. Questa fede il Magistero della Chiesa ha continuamente
ribadito con gioiosa gratitudine per l'inestimabile dono. Desidero ancora una volta richiamare questa verità,
ponendomi con voi, miei carissimi fratelli e sorelle, in adorazione davanti a
questo Mistero: Mistero grande, Mistero di misericordia. Che cosa Gesù poteva
fare di più per noi? Davvero, nell'Eucaristia, ci mostra un amore che va fino
« all'estremo » (cfr Gv 13, 1), un amore che non conosce
misura.
Come attesta la Scrittura, Dio è ricco di misericordia e non cessa di
perdonare quanti ritornano a Lui (cfr Ez 18, 23; Sal 32[31], 5;
103[102], 3.8-14; Ef 2, 4-5; 2 Cor 1, 3). Il perdono di Dio
diventa nei nostri cuori sorgente inesauribile di perdono anche nei rapporti
fra noi, aiutandoci a viverli all'insegna di una vera fraternità.
Per la misericordia di Dio, Padre
che riconcilia, il Verbo prese carne nel grembo purissimo della Beata Vergine
Maria per salvare «il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1, 21) e aprirgli
«la via della eterna salvezza». San Giovanni Battista conferma questa missione
indicando in Gesù l'«Agnello di Dio», «colui che toglie il peccato del mondo» (Gv
1, 29). Tutta l'opera e la predicazione del Precursore è una chiamata energica
e calorosa alla penitenza e alla conversione, il cui segno è il battesimo
amministrato nelle acque del Giordano. Lo stesso Gesù si è sottomesso a quel
rito penitenziale (cfr Mt 3, 13- 17), non perché abbia peccato, ma
perché «Egli si lascia annoverare tra i peccatori; è già “l'Agnello di Dio che
toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29); già anticipa il “battesimo”
della sua morte cruenta». La salvezza è, dunque e innanzitutto, redenzione dal
peccato quale impedimento all'amicizia con Dio, e liberazione dallo stato di
schiavitù nel quale si trova l'uomo, che ha ceduto alla tentazione del Maligno
e ha perso la libertà dei figli di Dio (cfr Rm 8, 21).
Seguendo l'insegnamento e l'esempio di Gesù, i cristiani sono convinti che dimostrare misericordia significhi vivere pienamente la verità della nostra vita: possiamo e dobbiamo essere misericordiosi, perché ci è stata mostrata misericordia da un Dio che è Amore misericordioso (cfr 1 Gv 4, 7-12). Il Dio che ci redime mediante il suo ingresso nella storia e attraverso il dramma del Venerdì Santo prepara la vittoria del giorno di Pasqua, è un Dio di misericordia e di perdono (cfr Sal 103 [102], 3-4.10-13). Gesù, nei confronti di quanti lo contestavano per il fatto che mangiava con i peccatori, così si è espresso: « Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Mt 9, 13). I seguaci di Cristo, battezzati nella sua morte e nella sua risurrezione, devono essere sempre uomini e donne di misericordia e di perdono. Possa l'umana famiglia trovare pace vera e duratura, quella pace che solo può nascere dall'incontro della giustizia con la misericordia!
L'amore di Dio si china su ogni umana debolezza per accoglierla nell'abbraccio della sua misericordia.
Il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione.
Colui che era assolutamente senza alcun peccato, lo fece
per rivelare l'amore che è sempre più grande di tutto il creato, l'amore che è
Lui stesso, perché «Dio è amore». E soprattutto l'amore è più grande del
peccato, della debolezza, della «caducità del creato», più forte della morte; è
amore sempre pronto a sollevare e a perdonare, sempre pronto ad andare incontro
al figliol prodigo, sempre alla ricerca della «rivelazione dei figli di Dio»,
che sono chiamati alla gloria futura. Questa rivelazione dell'amore viene anche
definita misericordia, e tale rivelazione dell'amore e della misericordia ha
nella storia dell'uomo una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo.
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